Che conversazioni intrattieni con i soggetti nei primi cinque minuti di incontro con loro?
Georgina: "È fondamentale essere anzitutto un essere umano, quindi in secondo luogo una fotografa. Per questo spendere cinque minuti per conoscere le persone consente di allacciare un rapporto. Stabilisco un contatto visivo, do una stretta di mano e spesso mi lancio in un abbraccio. Tengo la fotocamera sempre in vista, in modo da non causare sorprese quando è il momento di tirarla fuori. Faccio domande sulla loro vita privata e sulla famiglia: in molte parti del mondo, specialmente in Africa, i bambini sono il centro di tutto. Per questo parlare dei figli mette le persone a proprio agio. Mi presento e spiego il mio desiderio di condividere la loro storia, in modo che tutti possano imparare dagli altri".
Che tipo di sfide devi affrontare quando fotografi gli sconosciuti?
Georgina: "Alcune persone mostrano resistenza all'essere fotografati, o perché pensano che una volta a casa venderò le loro foto per ingenti somme di denaro oppure perché temono che questo possa avere ripercussioni negative sulla loro comunità. I soggetti possono supporre che scatterò solo una foto e non comprendono la mia necessità di scattare da diverse angolazioni, di ritrarre diverse espressioni facciali o di cercare i momenti in cui si scordano della mia presenza, diventando improvvisamente timidi o stando sulla difensiva. Quando spiego che un maggior numero di foto significa avere più scelta, in genere mi consentono di continuare. Non so mai se questo succederà, quindi lavoro in modo rapido. È qui che avere la giusta attrezzatura si rivela di grande aiuto".